Omelia Mons. Giovanni Silvagni, Vicario generale

Sperimentiamo oggi più del solito la gioia di essere un popolo, il popolo bolognese.

E’ un popolo che avendo un passato di cui far tesoro, ha fiducia di avere anche un futuro davanti a se’.

Per molti bolognesi di oggi, Bologna non è stata la città di nascita, ma è diventata la città di elezione, in cui si è venuti ad abitare e si è deciso di restare.

E si decide di rimanere a vivere in un luogo quando vi si scorge una speranza di futuro, una promessa di vita buona per sé e i propri figli.

Ma quante “città” ci sono in Bologna?

La Bologna dei residenti storici e degli studenti fuori sede, la Bologna dei benestanti e quella senza fissa dimora e di chi si butta via,

la Bologna degli immigrati, con i loro tesori di umanità e sapienza, trattati ancora con troppa sufficienza, mentre ci sarebbe molto da imparare da loro come si fa a stare al mondo.

Per vivere bene – non solo come singoli ma anche in quanto aggregazioni e istituzioni – abbiamo bisogno gli uni degli altri; nei tempi difficili, in cui scarseggiano i beni più necessari, questo lo si sente e lo si pratica più facilmente: “i poveri nella scarsità di mezzi, hanno per amica la mitezza; i ricchi nell’abbondanza hanno come loro familiare l’arroganza” (S. Leone Magno, Disc.95, 2; PL 54, 462).

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